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Diffusione dell'ossidiana

A causa dell'eccellente precisione e potere di taglio dei suoi sottili margini scheggiati, ma anche in virtù delle fascinose prerogative estetiche del colore e della lucentezza, l'ossidiana ha attratto le comunità umane fin dalla più lontana preistoria.

Le uniche quattro sorgenti insulari del Mediterraneo Occidentale -Lipari, Pantelleria, Palmarola e Sardegna- furono sfruttate fin dall'installazione dei primi gruppi del Neolitico (inizio VI millennio a.C.). La repentina istituzione di reti di scambio correlata alla rapida avanzata costiera dei coloni neolitici determinò una precoce circolazione delle ossidiane per centinaia di chilometri. Le direttrici preferenziali e l'intensità mutarono nel tempo e perdurando, in alcuni casi, fino all'Età dei metalli.

Lo sfruttamento della sorgente del Monte Arci iniziò intorno a 5800 anni a.C., mentre manca l'evidenza archeologica di precedenti sporadiche frequentazioni da parte di eventuali gruppi mesolitici di pescatori-cacciatori.

Le forme di sfruttamento, comprovate sulla base dell'evidenza archeologica, rivelano per le fasi antiche carattere del tutto asistematico, con volumi di produzione rivolti al soddisfacimento delle necessità quotidiane e l'assenza di una strutturazione su scala interregionale di reti di scambio organizzate.

Anche lo sfruttamento di tutti i quattro principali gruppi geo-chimici del Monte Arci denota l'assenza di una selezione fortemente orientata, sebbene risulti costante la preferenza relativa per la varietà di Masullas (SA), seguita da quelle di Marrubiu e Morgongiori (SB2) e di Pau (SC). L'impiego della sorgente di Marrubiu (SB1) è sempre quantitativamente irrisorio, perlopiù circoscritto all'area di approvvigionamento diretto intorno alla sorgente.

Recenti indagini di caratterizzazione delle provenienze di ossidiane da collezioni del Neolitico antico dell'area tirrenica hanno rivelato una presenza singolarmente elevata del gruppo SB2 lontano dall'area sorgente. In questo modello di distribuzione inversa rispetto alle tendenze regionali si è inteso riconoscere un possibile ruolo di selezione svolto dalle popolazioni locali dell'area di approvvigionamento diretto nei confronti delle comunità lontane. Tale selezione può aver operato anche nella distribuzione preferenziale di materia prima proveniente da deposito primario, di contro ad un impiego locale più intenso dei depositi secondari di fondo valle.

Nel Neolitico medio (I metà V mill. a.C.) si registra una restrizione dell'area di circolazione extrainsulare dell'ossidiana sarda, che ora interessa pressoché esclusivamente la Corsica mentre le altre sorgenti del meridione d'Italia (Lipari e Palmarola) partecipano di un circuito di interazioni che coinvolge l'area costiera del Tirreno settentrionale e quella provenzale. In quest'ultima area geografica alla fine del Neolitico (fine V-inizio IV mill. a.C.) l'ossidiana sarda soppianta quella delle altre sorgenti, segnando nel contempo un consistente incremento nelle quantità fin oltre 500 km dalla sorgente.

                  

Parallelamente, in Sardegna si assiste alla prima comparsa di forme di produzione di massa con l'installazione di grandi officine di lavorazione presso gli affioramenti primari di ossidiana, ma solo delle varietà SA ed SC. In questi atelier la produzione è finalizzata principalmente all’immissione di nuclei poliedrici nelle reti di circolazione extrainsulare della materia prima. Nell'ambito regionale Sardo-Corso l'ossidiana diviene risorsa corrente, distribuita capillarmente e facilmente reperibile, mentre il suo areale di gravitazione si estende fino alla Pianura padana e al Mezzogiorno francese, dove acquisisce una posizione prevalente.

Solo con l'avvento dell'Età del rame (IV-III mill. a.C.) l'importanza dell'ossidiana affievolisce, in concomitanza con la diffusione del metallo. L'area di circolazione si restringe all'ambito insulare, dove l'impiego prosegue localmente fino alla piena Età del bronzo medio (XIV sec. a.C.) per poi venir meno del tutto.